Noto che spesso si fa un po’ di confusione nell’utilizzo del termine “boomer”.
Si tende a additare come tale anche chi in realtà non lo è, perlomeno stando alla definizione vera e propria.
Per fare chiarezza, i “Boomer” sono i nati tra il 1945 e 1964, ovvero i figli del “baby boom” del post seconda guerra mondiale.
Quelli nati tra il 1965 e il 1980, anche se spesso bollati come tali, in realtà appartengono alla cosiddetta “Generazione X”.
Noi della generazione X siamo quelli che tra l’adolescenza e l’età adulta sono passati dal telefono a rotella allo smartphone, dalla Tv in bianco e nero senza telecomando a Netflix. Dalla lettera cartacea scritta a mano e spedita in una busta col francobollo alle e-mail. Dal vinile e le audio cassette a Spotify.
Siamo quelli che sono entrati nel mondo del lavoro quando computer e internet erano strumenti per specialisti del settore della tecnologia, ma poi sono diventati parte integrante della quotidianità di quasi tutti.
Intendiamoci, tutto questo vale anche per i boomer, ma forse per alcuni di loro è stato possibile non adeguarsi a certe innovazioni, demandando a figli e nipoti certe incombenze quando diventavano troppo moderne e complicate.
Per noi, almeno per la maggior parte, questo non è stato possibile, ci siamo dovuti arrangiare in prima persona.
Sto generalizzando, lo so, ma non penso di sbagliarmi di molto.
Noi siamo stati “costretti” a stare al passo coi tempi e con le innovazioni, ci siamo dovuti abituare a certi cambiamenti epocali, e questo ci ha fatti vivere sempre con le antenne alzate per riuscire a cogliere i segnali del presente e del futuro.
Siamo stati “costretti” a continuare ad imparare cose nuove, e secondo me per noi della generazione X questa è una gran fortuna.
Perché un cervello che continua ad imparare non invecchia mai.